E adesso cosa faranno gli studenti?, ci siamo chieste in questi giorni.
Gli studenti hanno fatto bene.
Non hanno raccolto le provocazioni di Gasparri né il travaso di bile di La Russa.
A piazzale Aldo Moro offrono cornetti caldi e caffè Borghetti. Ci sono ricercatori, matricole, fuori corso. C’è un padre con una figlia. Dietro lo striscione “Quelli del 14 dicembre”, un ragazzo issa un fumogeno rosso, più fiaccola carnevalesca che oggetto contundente.
Si diceva che avrebbero organizzato eventi improvvisi,
flash mob,
performance. Chiedo, ma nessuno ne sa niente. Sul percorso del corteo c’è assoluto riserbo. Una protesta all’insegna del
sorpresismo (copyright Corrado Guzzanti) che porta verso la periferia, tra le rotaie dello Scalo San Lorenzo, le vie del Pigneto, la tangenziale est, la bretella della A24, fino a che la meta si fa chiara: si va all’Aquila!
Poi l’allegra brigata fa ritorno alla Sapienza.
Da due anni gli studenti scendono in piazza, e non solo contro il decreto Gelmini. Protestano per dire che per loro non c’è futuro, non c’è lavoro, non c’è
welfare, non ci sarà pensione. I giornalisti la chiamano “generazione senza”. Veramente, i loro cugini più grandi sono messi anche peggio. I giornalisti li chiamano “precari”. Una parola abusata, che vuol dire tutto per non risolvere niente.
Gli studenti, oggi, sono qui anche per loro: per i milioni di “male occupati”, per i non-contrattualizzati, per chi lavora in nero, per le donne del sud (una su tre senza lavoro) che al futuro nemmeno ci pensano più, perché è il presente quello che manca.
Grazie ragazze, grazie ragazzi!
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